Errori materiali nella concessione
Nel 1993 la mia famiglia ha sottoscritto Scrittura privata con il sindaco di un comune del nord Italia, atto poi registrato all’ufficio del Registro. Sull’atto è riportato durata 50 anni.
Nel 1995, riceviamo raccomandata in cui si dice che la giunta comunale prendeva atto di errore materiale di redazione per tutte le concessioni fatte nel 93-94, dovendosi pertanto leggere durata di anni 30 e non 50, sulla base di un regolamento di polizia mortuaria approvato in Consiglio nel novembre 1992 esecutivo ad inizio 1993. Oggi il comune insiste a dire che la concessione è in scadenza perchè si contano 30 anni.
Ripeto che noi abbiamo in mano una concessione di 50 anni stipulata con un Sindaco e registrata all’Ufficio del Registro. Quanto sopra si è verificato per tutte le concessioni stipulate dal comune nel 93-94, in cui è stato scritto 50 poi modificato a 30. Una scrittura privata registrata non vale quindi nulla? Quale è la scadenza?
Privato
Al momento della stipula della concessione il regolamento di polizia mortuaria, che regola la durata delle concessioni, prescriveva 30 anni. Decorrenza e durata degli atti di concessioni cimiteriali non rientrano nella volontà pattizia delle parti, ma devono rispettare le norme regolamentari comunali in vigore al momento della stipula, ivi compresa la durata, pro tempore fissata nel regolamento di PM locale.
Le parti di un atto, anche privato, che prevedano clausole in contrasto con la normativa sono nulle.
Pertanto il Comune è nel giusto nel dichiarare valida la scadenza prevista nel regolamento di polizia mortuaria e che l’atto riporta un errore materiale.
Si potrebbe discutere se l’importo pagato si riferiva a 30 o 50 anni; bisogna vedere cosa diceva il tariffario cimiteriale vigente al tempo della firma della concessione: se era previsto un importo per una durata di 50 anni esplicitamente, dovreste essere rimborsati dei 2/5 dell’importo versato.
Un errore materiale è rettificabile, nel caso, con le modalità previste dall’ordinamento, vedasi CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – SENTENZA 5 marzo 2014, n.1036. L’istituto della rettifica consiste nella eliminazione di errori ostativi o di errori materiali in cui l’amministrazione sia incappata, di natura non invalidante ma che diano luogo a mere irregolarità; inoltre la rettifica:
• non richiede una motivazione rigorosa (come invece risulta necessario nel caso dell’annullamento d’ufficio, con conseguente sottoposizione alle condizioni prescritte dall’art. 21-nonies, comma 1, della legge generale sul procedimento amministrativo – Legge n.241/1990 e ss.mm.ii.);
• non richiede di valutare comparativamente l’interesse pubblico e l’interesse privato coinvolti, essendo finalizzata a rendere il contenuto del provvedimento conforme alla reale volontà di chi lo ha adottato.
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